Ifigenia, recensita [Renato Marzano]

La sensazione di sentirsi a proprio agio la si prova subito, appena entrati in platea. La sensazione di sentirsi accolti e protetti, come nello studio dell’analista, funge da anestetico contro la crudeltà degli argomenti trattati.

Le luci sono accese, la boiserie a tutta altezza riflette un calore familiare, gli ospiti attendono silenziosi un consenso e la quarta parete è sollevata in graticcia. Sprofondati nel velluto si è pronti a condividere tacitamente la propria colpa e ad analizzarla. Perché di questo tratta l’opera di Angela Dematté e Carmelo Rifici: della colpa, dell’errore, del crimine e del delitto. Ifigenia, liberata approfondisce trasversalmente i peccati più o meno efferati compiuti dal genere umano adottando come cardine essenziale la tragedia greca, imponente metafora, e pedinando il male primigenio fino agli albori della vita terrena.

Il testo analizza la complessità dell’uomo e il suo desiderio segreto di trovare un capro espiatorio per i suoi mali che ne affranchi l’animo dal peso della barbarie e lo sollevi giuridicamente da ogni responsabilità.

Attraverso una drammaturgia meta-teatrale gli attori indagano la possibilità di sostituire il “sacrificio” con un atto di non-violenza stimolandosi vicendevolmente per giungere ad una soluzione (ma anche ad una rappresentazione) che soddisfi tutti.

La scena, tesa come può esserlo la generale antecedente una prima, è cadenzata da interventi didattici volti a sollecitare l’attenzione del pubblico e avvolge lo spettatore proiettandolo, attraverso l’uso di un impianto video, nella dimensione subconscia del retropalco dove la vergogna e le paure recitate trovano compimento. L’unico effimero sollievo viene restituito dal coro che, nonostante ricordi gli sketch ilari alla Drive In, compare tremendamente serio e lapidare nell’ultimo stasimo.

Se neanche Atena, dea della sapienza, è riuscita col suo tribunale ad arginare l’istinto primordiale dell’uomo di cercare nell’abuso e nella vendetta il proprio regolamento, appare quantomai prevedibile l’amaro epilogo dove il rimedio ai topoi presentati dalla drammaturgia viene timidamente suggerito ma non autenticato. In sintesi il lavoro di Dematté e Rifici non individua un pharmakon che sciolga gli enigmi ma consiste nello “svelare il male” pensando di poterlo in qualche modo gestire attraverso la consapevolezza.

Una volta calato il sipario non riceveremo certo l’assoluzione che speravamo di ottenere ma, con un po’ di indulgenza, saremo indirizzati sulla strada migliore per guadagnarla: effettivamente lo spettacolo dura solo 2 ore e 30, che non son poche per una riflessione ma risultano pochissime per una redenzione.

Renato Marzano

IFIGENIA, LIBERATA

Ispirato ai testi di Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari

Progetto e drammaturgia: Angela Dematté e Carmelo Rifici

Regia: Carmelo Rifici

Interpreti: Caterina Carpio, Giovanni Crippa, Zeno Gabaglio, Vincenzo Giordano, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Francesca Porrini, Edoardo Ribatto, Giorgia Senesi, Anahì Traversi

Scene: Margherita Palli / Costumi: Margherita Baldoni / Maschere: Roberto Mestroni

Luci: Jean-Luc Chanonat / Musiche: Zeno Gabaglio / Video: Dimitrios Statiris

Produzione: LuganoInScena

Coproduzione: LAC Lugano Arte e Cultura / Piccolo Teatro di Milano / Azimut

 

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